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Valeri: “Puntiamo sulle imprese”

di Antonella Olivieri
IL SOLE 24 ORE – 22.03.2009

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Parla il numero uno di Deutsche Bank in Italia, Flavio Valeri: vogliamo essere un partner di lungo periodo.


Flavio Valeri, 45 anni appena compiuti, è amministratore delegato di Deutsche Bank Italia dal1°ottobre. Inutile chiedergli se si stava meglio prima del crack di Lehman. Lui era a capo dei Paesi a lingua tedesca (Germania, Austria, Svizzera) per Merrill Lynch, dopo esserne stato responsabile delle attività di capital markets europee da Londra. Deutsche Bank in realtà è un ritorno perché è da lì che Valeri, ingegnere, master in business administration ad Harvard, ha mosso professionalmente i primi passi.

La finanza e il credito stanno attraversando un periodo difficile. La tentazione di concentrarsi sul mercato domestico è forte, Non c’è il rischio che Deutsche riduca il suo impegno sull’Italia?

No, l’Italia resta strategica. L’approccio al Paese da parte di Deutsche Bank è molto sistematico: dal 1986, quando ha comprato la Banca d’America e d’Italia, ha cambiato solo quattro amministratori delegati. Ogni anno è cresciuta un po’, ha rilevato la Popolare di Lecco, poi Finanza & Futuro e infine DB Mutui. Qui in Italia la presenza costante è un impegno. Non dimentichiamo che per il gruppo rappresentiamo il principale mercato in Europa al di fuori della Germania.

Lehman ha chiuso i battenti, Merrill Lynch è in ritirata, Citibank sta abbandonando il palazzo milanese in Foro Bonaparte che occupava dal Dopoguerra. In finanza si contano morti e feriti.

Forse è una questione di modello di business. Deutsche Bank è una banca integrata: una banca d’investimento globale con forte presenza nel retail. In Italia contiamo 4mila dipendenti e una rete di mille promotori finanziari, con un totale di 500 punti vendita: 261 sportelli, 140 financial ship Finanza&Futuro e 100 uffici Prestitempo. Nel credito alle famiglie e nelle carte di credito siamo fabbrica prodotti per le Poste, contiamo 10 miliardi di asset in gestione nel private banking con una raccolta tuttora positiva, gestiamo sette fondi immobiliari e abbiamo un fondo infrastrutture. Per sportelli deteniamo una quota di mercato dell’1%, nelle reti di promotori del 4%, nel credito al consumo dell’8% e nelle carte di credito corporate di oltre il 50%. Come banca d’affari abbiamo una quota del 7% sull’intermediato. Insomma, una presenza articolata che non si monta e si smonta dalla sera alla mattina.

Ma la crisi l’avete sentita anche voi.

La stiamo affrontando in maniera positiva: da settembre a dicembre abbiamo aumentato del 5% i rapporti bancari. Nei prossimi tre anni abbiamo in programma di aprire 150 sportelli e siamo sempre interessati agli sportelli Mps.

Niente Popolare di Lecco bis, dunque. Dove intendete crescere in particolare?

L’esperienza della banca nel territorio è stata molto positiva, ma purtroppo non ci sono altre “Popolari di Lecco” in vendita. Cresceremo allora nelle zone dove siamo più forti: oltre alla Lombardia, la Liguria, il Lazio, la Campania, la Puglia. Il Lazio è molto interessante per noi perché è la seconda regione per prodotto interno lordo in Italia.

Da un recente studio di R&S-Mediobanca risulta però che la casamadre abbia una grossa esposizione a titoli illiquidi, pari a tre volte e mezzo il patrimonio. Non rischia di essere un problema anche per voi?

La banca ha un tier 1 superiore al 10%, e non c’è alcun riflesso in Italia.

In questo momento c’è molta attenzione da parte delle istituzioni alla fluidità del credito, in particolare verso le Pmi che nella congiuntura attuale rischiano di essere più penalizzate.

Noi non ci focalizziamo solo sui grandi nomi, ma copriamo tutte le categorie di imprese. Posso darle un dato: nel 2008 abbiamo aumentato del 28% gli impieghi verso le Pmi, erogando un miliardo di prestiti in più. Sono aziende che hann attitudine all’export e si rivolgono a noi non solo per l’interscambio con la Germania, ma anche perché siamo presenti in 72 paesi al mondo.

E per le altre categorie di imprese?

Anche per le large corporate siamo focalizzati sui finanziamenti, sempre incluso l’export, attraverso il nostro “global transaction banking”, In particolare siamo leader nel cash pooling: per esempio se un’azienda ha trenta filiali all’estero e vuole sapere ogni sera quale è la sua posizione di cassa, noi siamo in grado di fornirla e ottimizzarla. Sulle multinazionali invece siamo attivi soprattutto come banca d’affari.

Nessun ripensamento nemmeno su questo?

Tutt’altro. È un settore sul quale continuiamo a investire: nell’ultimo trimestre il gruppo nel mondo ha assunto 25 senior bankers nelle aree M&A e corporate finance. Ma devi avere la possibilità di fornire servizi integrati. I risultati ci danno ragione. Solo per quanto riguarda l’Italia negli ultimi mesi siamo stati bookrunner per l’emissione obbligazionaria da 1,25 miliardi dell’Eni, che abbiamo assistito anche per l’acquisizione di First Calgary; abbiamo curato l’aumento di capitale di Finmeccanica; abbiamo assistito Wind nel riacquisto dei bond; abbiamo partecipato al finanziamento di Fiat per l’investimento industriale in India con Tata; e, da ultimo, abbiamo curato l’emissione obbligazionaria di Telecom da 1,5 miliardi.

Tutto bene, ma Deutsche Bank negli ultimi anni è incappata in qualche “incidente”, vedi l’emissione di bond per la Parmalat dei Tanzi poco prima che fallisse o i finanziamenti concessi a Stefano Ricucci, che anche con i soldi di Deutsche Bank aveva tentato la scalata al Corriere.

Sono cose del passato, sulle quali preferisco non esprimermi, ma che comunque non sono in linea con il desiderio di Deutsche Bank di essere partner nel lungo periodo di questo Paese. Nel frattempo molti cambiamenti sono avvenuti in Italia e il mondo è radicalmente diverso. In questa ottica, appena arrivato la priorità è stata raggiungere una transazione di reciproca soddisfazione con Parmalat.

© Il Sole 24 ore 2009